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 Arte di suono

AREA I - ARTE TECNICO-SCIENTIFICA (ATS)

Cap. ATS-R01 - Arte suono - Pag. ATS-R01.07

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2011 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina


 

Musica Medievale - di Nicola Patria (VR)

 

 

INDICE:

 

Musica Medievale tra mito e realtà

 

 

Come ricostruire la musica medievale?

Parlare di musica medioevale è una cosa più complessa di quanto sembri.

Da un lato la musica di quell'epoca è interpretata da movimenti moderni quali il “celtismo” ed il “fantasy” che popolano di grida, schiamazzi e violini le cosiddette rievocazioni storiche. Dall'altra parte il mondo musicale accademico, vittima del dogmatismo della sua impostazione canonica, interpreta la musica medievale come se fosse musica classica (a volte addirittura lirica) il che, ovviamente, può essere più piacevole a sentirsi, ma altrettanto irrealistico.

Il fatto è che, ad eccezione del canto gregoriano, non sapremo mai come veniva suonata la musica nel medioevo; tuttavia, studiandone la funzione, la dizione, il tipo di strumenti e le poche tracce sopravvissute fedelmente nella musica popolare, possiamo avanzare delle ipotesi plausibili.

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Testimonianze sull'alto medioevo: la scuola bizantina

Del basso medioevo ben poco sappiamo: non già per il luogo comune, falso e semplicistico, che gli vuole attribuire la nomea di “periodo buio”, ma perchè poche e frammentarie sono le testimonianze giunteci dalla mitteleuropa di quel tempo.

Basta, infatti, spostarsi nell'impero bizantino per trovare una consolidata cultura musicale, piena di intensità e melodiosità, dalla quale gli artisti del “periodo dei lumi” avrebbero avuto molto da copiare, ed infatti lo hanno fatto, specie nel rinascimento.

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Il basso medioevo e la poesia.

Più tardi, sappiamo di per certo che i componimenti poetici, le canzoni dei pellegrini e quant’altro venivano musicati con melodie prese in prestito dalla musica sacra, ossia dai canti gregoriani e dalla scuola bizantina: entrambe figlie della tradizione salmodiaca ebraica e nipoti di quella egizia.

I testi della lirica cortese trobadorica, trattavano di temi quali l’amore e le gesta cavalleresche ed erano composti da una “volta” cui seguiva un numero indefinito di strofe, in seguito nacquero le prime “colonne sonore” per le rappresentazioni teatrali. Le liriche raccolte nei canzonieri, come i Carmina Burana ed il livre Vermell, si potevano dividere in trobar rich e trobar clus (il cui senso era criptato), il minnesang (amoroso), il jeu parti (dialogo), il sirventes (satirico).

Tutta questa musica era fatta per accompagnare dei racconti, quindi è logico supporre che non dovesse essere per nulla invasiva ma, allo stesso tempo, flessibile, libera e facilmente adattabile.

Dalla necessità di musicare dei dialoghi è nato il kan ah diskan (canto e discanto), un meraviglioso e suggestivo genere ancora oggi vivo in Bretagna che consiste nell'alternarsi di due voci che si ripetono ed alternano le frasi.

Non solo monaci e popolani si dilettavano a comporre musica: spesso anche i sovrani, che immaginiamo valorosi e leggendari nei loro fiabeschi castelli pieni di arazzi, labari ed armature, davano sfogo alla loro creatività, ne sono esempio il planctus karoli, la canzone di re riccardo e le cantigas.

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Le esttampie, i villancicos ed i saltarelli erano brani composti da un numero di frasi che variava da due a quattro, ed ogni frase consisteva in una domanda ed in una risposta. Possiamo ancora intravvedere nei tratti delle danze popolari francesi e bretoni questo antico schema.

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Nel XII secolo, dalla scuola di Notre Dame si cominciò a sviluppare la polifonìa, che, però, rimase confinata alle esecuzioni vocali religiose. Guidone d'Arezzo, Jacopo da Liegi, Gallo ed i componenti della scuola fiamminga cominceranno a mettere su carta la teoria musicale ed a formularne le regole e le notazioni sui primi tetragrammi.

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Come detto, si trattava di musica di accompagnamento ed i principali tipi di scrittura musicale adiasematici ci suggeriscono che la ritmica poteva essere abbastanza libera, ma mai casuale.

La linea melodica era piuttosto lineare: gli strumenti non avevano molte possibilità di modulazione espressiva, come del resto le voci dovendo più “parlare” che “gorgheggiare”.

Le tonalità dei pezzi erano, però, colorite da variazioni misolidie o doriche che, con l'aggiunta di semitoni, spezzavano la monotonia del modo maggiore. Forse queste teniche erano state ravvivate dal fascino “orientale” importato dai crociati e dai mercanti.

Gli strumenti più diffusi erano fiati (come flauti, auli, panflauti, cromorni, cornamuse, bombarde e gemshorni) e cordofoni (liuti, vielle, salterii, arpe e symphonie), ma non era raro l'impiego di organetti portativi e cembali.

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Bibliografia

Bib-TS-486 - Monografia di Nicola Patria

 

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