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 Archeologia fusoria

AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)

Cap. ARS-C01 - Archeometallurgia - Pag. ARS-C01.11

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2011 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina


 

Scavo di una fornace da campana in S. Andrea di Sarzana

 

INDICE:

 

Monografia di Ferdinando Bonora (*)

 

01. Notizie Storiche

 

Le più antiche notizie relative alla pieve di S. Andrea in Sarzana (La Spezia) risalgono alla prima metà del XII secolo (1). La prima pieve sarzanese sarebbe tuttavia stata la chiesa di S. Maria o S. Basilio, che rimase l'unica fino a quando, per l'incremento demografico del borgo, anche S. Andrea ricevette il fonte battesimale (CONTI 1963, 3-26). Nel 1204, in seguito al trasferimento della sede vescovile da Luni a Sarzana, la chiesa di S. Maria divenne cattedrale. S. Andrea rimase il battistero della città e per lungo tempo sede ufficiale del Comune (2).

Il primitivo edificio presentava un impianto basilicale latino a tre navate con la centrale sopraelevata sulle collaterali, situazione che si può facilmente leggere sull'attuale facciata e che ha da poco avuto conferma dopo che i recenti lavori hanno dissotterrato all'interno i due muri di fondazione e i basamenti dei colonnati. E probabile che la chiesa avesse già in questa prima fase il campanile affrontato, assai più basso tuttavia della torre attuale. La costruzione era inoltre preceduta da un atrio usato fino a tutto il secolo XIV come sede giurisdizionale del Comune (3).

Nella prima metà del XIV secolo si iniziarono imponenti lavori di ristrutturazione dell'intero edificio, con la demolizione e la ricostruzione in posizione spostata di un'intera parete, come risulta previsto negli statuti del 1330 (4); si sopraelevò inoltre anche l'altra parete, [123] fino all'altezza della nave mediana della vecchia basilica e si mutò l'illuminazione aprendo due file di ampie finestre.

Secondo il FORMENTINI (1951, 10) fu allora che la chiesa venne ridotta ad un'unica vasta aula con copertura lignea e cappelle alle pareti, secondo lo stile umbro-toscano già manifestatosi a Sarzana nella chiesa municipale di S. Francesco. In questa epoca si elevò anche la snella torre merlata traforata a polifore marmoree.

Nel 1579 si iniziò la ricostruzione nell'aspetto attuale dell'intero edificio, ad opera di maestro Giacomino del fu Guglielmo di Ugolino (NERI 1877, 309)): esso fu innalzato e coperto a volta, ed ebbe ingrandito il presbiterio, sopraelevato sul piano della chiesa e girato ad unica grande abside semilunare.

Nel corso di lavori di risanamento e restauro attualmente condotti nella chiesa sotto la direzione della Soprintendenza ai Monumenti della Liguria è stata portata alla luce un'opera per la fusione di metalli che è poi risultata una fornace per la gettata di una o più campane, ancora in discreto stato di conservazione nonostante fosse stata in parte danneggiata dai lavori che l'hanno evidenziata, eseguiti nell'edificio con l'ausilio di mezzi meccanici. Compresa l'importanza archeologica del rinvenimento si è provveduto a metterne al corrente la Soprintendenza alle Antichità della Liguria, d'intesa con la quale è stato quindi effettuato nella primavera 1973 lo scavo sistematico dell'intero manufatto da parte del Gruppo Ricerche di Genova (5).

 

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02. Stratigrafia e strutture

 

Nonostante lo scavo abbia avuto inizio solo dopo l'individuazione della fornace (situata ad una profondità di 1,80 m. rispetto al pavimento, in prossimità dell'ingresso, nella seconda campata del colonnato dissepolto ed a cavallo dell'asse mediano della chiesa), è stato tuttavia possibile ricostruire con sufficiente esattezza la serie di strati già asportati, nonché le relazioni esistenti con le murature e con la fornace, attraverso l'esame in parete del riempimento sottostante il vecchio fonte battesimale.[124]

La stratigrafia individuata è la seguente.

I strato: pavimento attuale della chiesa e relativo sottofondo.

II strato: riempimento costituito da più gettate di terreno sciolto misto a macerie.

III strato: riempimento omogeneo di macerie con malta e calce abbondanti. In esso è sepolto ciò che resta di una delle colonne della fase medievale dell'edificio.

IV strato: pavimento medievale composto da mattonelle rettangolari in cotto con malta poggianti su un sottofondo di terra.

V strato: terra marrone contenente grossi ciottoli che ricopre il muro di fondazione delle colonne.

VI strato: terreno analogo al precedente e tagliato dalla suddetta fondazione. È presente un’impronta di palo che interessa entrambi gli strati V e VI.

VII strato: sottile livella carbonioso ancora conservato in tutta la porzione risparmiata dalla scavatrice attorno alla fornace. [125]

VIII-IX strato: paleosuolo costituito da argilla rossastra con carboni e ceramica. Risulta precedente sia alla fornace che alla fondazione dei due colonnati, essendo questi scavati in esso. Nella zona nord dell'area ancora in posto è stato effettuato un ridotto scavo stratigrafico a partire dal VI strato, di cui rimaneva ancora un residuo spesso pochi centimetri. Sotto ad esso continuava il piano d'argilla marrone ricca di carboni (VII strato), di esiguo spessore non uniforme su tutta la superficie e ricoprente in certi punti anche il riempimento della fornace; si è rivelato quasi completamente privo di reperti. A contatto del muro di fondazione nord, allo strato carbonioso sottostava una lente di calce del tutto sterile. Il deposito continuava con lo strato VIII, argilloso compatto con tracce di calpestio, ceramica, carboni, frammenti di calce, ossa e schegge di pietra.

Infine lo strato IX, sempre argilloso, ricco di ceramica e carboni, si estingueva gradualmente nel limo vergine, di colore rossastro e di origine alluvionale, spesso circa un metro e poggiante a sua volta su un basamento di ciottoli fluviali.

Una tomba era stata scavata fino a intaccare col fondo l'VIII strato per circa 5 cm.; nel suo riempimento, oltre a diversi chiodi con tracce di legno, si trovava abbondante ceramica tra cui frammenti di maiolica arcaica.

Tra il muro di fondazione del colonnato a nord e gli strati esaminati era stata gettata una fondazione a sacco in pietre e malta spessa circa 25 cm. e posteriore sia al muro che agli strati suddetti.

La fornace è costituita essenzialmente da una fossa allungata A comunicante con due pozzi cilindrici: uno maggiore B posto allo stesso livello della fossa ed uno minore C collocato ad un livello più alto.

La fossa A è semplicemente scavata nell'argilla, senza alcun rivestimento protettivo (sono ancora visibili in parete i segni dell'attrezzo di scavo). Ha forma ellissoidale, con l'asse maggiore disposto in direzione nord-sud e lungo circa 250 cm.; sia in larghezza che in profondità misura approssimativamente 120 cm. La parete, inclinata a scarpata nella parte distante dai pozzi, tende a divenire verticale in prossimità dei medesimi. Nella parete est, notevolmente rovinata dal mezzo meccanico, ad un'altezza dal fondo di circa 30 cm. e relativamente distante dai pozzi, si trova un'apertura a larga circa 40 cm., con le pareti arrossate dal calore e di cuí è difficile fornire un'interpretazione data l'esiguità di ciò che rimane. A sud la fossa si restringe e continua in un canale b, coperto ad un'altezza di 40 cm dal suo fondo da una soletta c di terra cotta spessa 8 cm. [128] In corrispondenza del centro del pozzo maggiore B il canale si suddivide in quattro diramazioni disposte a raggiera ed in salita, che sboccano sul fondo del pozzo stesso mediante altrettante aperture d.

Il pozzo B consiste in una fossa cilindrica del diametro approssimativo di 150 cm, profonda 80 cm dalla sommità fino alla superficie della soletta c, e 125 cm fino al fondo del canale b sottostante. l,a parete è rivestita e rinforzata da un muretto di ciottoli a secco intonacati con argilla evidentemente spalmata e lisciata con le mani. Sul fondo del pozzo sono costruiti in mattoni i setti e delimitanti le diramazioni del canale b (nella parte est, molto rovinata, se ne sono rinvenute solo le tracce). Sopra ad essi si estende la soletta c (sfondata in alcuni punti) nella quale sono identificabili due strati: in basso argilla cotta di color rosso, spessa circa 2 cm.; sopra ad essa ed all'interno degli sbocchi del canale un crostone nero spesso 4-5 cm dal marcato contorno curvilineo.

Il pozzo C, più piccolo del primo (90 cm di diametro), è costituito anch'esso da una fossa cilindrica le cui pareti non sono però, a differenza dell'altro, rinforzate in alcuna maniera: esse presentano una certa consistenza solo per l'essere state cotte ed indurite dall'azione del calore. I la una profondità di 100 cm e diametralmente presenta nella parte inferiore un canale f perpendicolare all'asse della fossa A. delimitato da due filari g di mattoni (modulo oscillante tra 6xl3x24 e 6x12x19). Tale canale è alto dal fondo del pozzo circa 55 cm e, largo 15 cm all'estremità ovest, si allarga progressivamente fino a presentare una luce di 40 cm all'imboccatura, nella zona di collegamento con la fossa A. Sulla superficie di un mattone è saldata un'impronta curvilinea di metallo h. Gli spazi compresi tra le due file di mattoni e la parete del pozzo, esternamente al canale, sono stati riempiti con argilla ottenendo due piani t profondi dalla superficie esterna dell'intero complesso una sessantina di centimetri. Il fondo del canale f invece si unisce e continua col piano della soletta c, pur essendo a un livello leggermente inferiore ad essa e a 40 cm dal fondo della fossa A.

Nella parete est della fossa A, presso il collegamento con il pozzo C, si aprono tre piccoli fori circolari l, m ed n, larghi e profondi pochi centimetri. Essi non sono sullo stesso piano: n è collocato pressappoco sullo stesso piano della soletta c, a circa 45 cm dal fondo della fossa A, mentre I è a un livello più alto di 15 cm. L'argilla della parete di A è arrossata dal calore solo al di sotto del segmento ideale che unisce i fori suddetti. Nella parete est ve n'è un altro analogo o, in asse con il foro l; immediatamente a sud di esso è scavato un incavo p, alto 25 cm; profondo 6 cm e lungo circa 30 cm.

Esaurita la sua funzione, la fornace fu riempita con scarichi di materiale eterogeneo fino a raggiungere il livello del piano circostante. [130] Questa operazione sembra essere stata eseguita in un breve lasso di tempo: il suo esame stratigrafico si limita perciò solo all'esame dei materiali che costituiscono le varie fasi del riempimento. È stato possibile scavare sistematicamente il riempimento nella fossa A e nel pozzo C, mentre nel pozzo B era già stato quasi completamente asportato, tranne che sul fondo del canale b (6).

 

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02.A - Fossa A

 

A1: terreno sabbioso (7), con carbone, tracce di metallo, blocchi di argilla cotta, macerie, frammenti di ossa; un sottile strato di sabbia lo separa dall'A2: crostone di terra nera, alto pochi centimetri, con frammenti di argilla modellata e cotta e tracce di metallo.

A3: spesso strato di sabbia con tracce di metallo.

A4: sabbia, grosse pietre cotte, tegoli, frammenti sagomati e cotti.

A5: nella metà nord: grossi ciottoli con macerie, argilla e sabbia mnista a carbone e a frammenti sagomati e cotti che si insinua tra di essi.

A6: lente di sabbia mista ad argilla cotta.

A7: terreno leggermente sabbioso, con molto carbone e numerosi frammenti di lastre di terracotta, sia dentro esso che poggianti orizzontalmente sulla sua superficie.

A8: sabbia coprente il fondo della fossa.

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B 1: dentro le diramazioni del canale b. Suddiviso a sua volta in tre sottostrati (a partire dal fondo):

B1a: sabbia mista a piccoli ciottoli di fiume; B1b: sabbia quasi priva di ciottoli:

B1c: sabbia più fine mista a carboni.

B2: terreno marrone con frammenti di argilla cotta, calce, poco metallo. Ricopriva i sette divisori e del canale nella parte est, in parte rovinata.

 

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C1: terra sciolta con molte schegge di pietra, carboni, scorie metalliche, ceramica.

C2: terra più compatta, marrone, contenente lenti d'argilla grigia.

C3: argilla grigia.

C4: terra sciolta con argilla marrone, scorie metalliche e vetrificate. Si estende su tutta la superficie del pozzo e riempie il canale f, in cui è interrotto da una lente di cenere sterile, per poi continuare e giungere fino al fondo. [131]

 

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Dagli operai che hanno effettuato lo sterro nella chiesa prima dello scavo sistematico sono stati ricuperati numerosi frammenti di ceramica tardomedievale e rinascimentale privi tuttavia di qualsiasi riferimento stratigrafico e planimetrico relativo al loro rinvenimento. Inoltre anche durante le operazioni di pulizia preliminari allo scavo è stato rinvenuto materiale non assegnabile con sicurezza a strati determinati (reperti  fuori strato).

Il materiale è qui descritto distinguendo i reperti relativi all'attività della fornace dagli altri ad essa estranei. La relazione esistente tra strati e reperti è illustrata dalla tabella di distribuzione.

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Tav. I. Materiale estraneo all’attività della fornace. Tra parentesi è indicata la provenienza stratigrafica dei singoli pezzi (t. = tomba; f. s. = fuori strato). o girali (n. 19-20). Tipica produzione del Contado fiorentino della seconda metà del XVI secolo (BALLARDINI 1933; LIVERANI 1958).

Ceramiche prive di rivestimento:

Testi: dischi con bordo rialzato, spessi circa 12 mm, con diametro medio di 220 mm; impasto abbastanza grossolano di color grigio-marron chiaro, con inclusi bianchi; fondo sabbiato; i bordi presentano diversi profili (n. 1-2-3-4-5-6) (MANNONI 1965; id. 1970, 304).

Ceramica vacuolare: prevalentemente olle ad impasto abbastanza depurato, di colore grigio-marron scuro caratterizzato dalla presenza di numerosi piccoli vacuoli sia sulla superficie che nel corpo: notevoli solo due frammenti di fondo spessi G mm (n 7). Tipo ceramico già rinvenuto in insediamenti altomedievali a Savignone (Genova) (GRUPPO RICERCHE DI GENOVA 1974a) ed a Luscignano (Massa Carrara) (id. 1974b).

Ceramica a impasto più o meno depurato. di color grigio-marron scuro, con inclusi bianchi: prevalentemente olle a bordi espansi lineari (m 8-9-10-11). Di colore più chiaro, con tendenza a bicromia marron chiaro all'interno, rosso pallido all'esterno), un frammento di boccale a bocca trilobata. tornito e con lisciature a spatola su collo e spalla n. 12).

Ceramica a impasto più o meno depurato, di color rosso più o meno pallido: prevalentemente olle e boccali.

Ceramica ad impasto molto depurato di color rosso: prevalentemente forme chiuse; due frammenti sono riconoscibili come anforacei.

Ceramica con rivestimento terroso:

Un frammento ad impasto depurato, tenero e di color grigio, con rivestimento terroso esterno di color rossoarancione, spessore 8 mm. Abbastanza fluitato, è probabilmente di origine protostorica.

Ceramiche invetriate:

Un frammento ad impasto depurato-sabbioso, duro e di color grigio-cuoio, con spessa vetrina color ambra su entrambe le superfici; spessore variabile da 5 a 7 mm. Può trattarsi di un invetriata altomedievale.

 

Ingobbiata comune verde e gialla: impasto depurato, duro e rosso; forme sia aperte che chiuse. In un frammento di brocca con becco a cannone (lungo 70 mm e con Ø di 20 mm) l'ingobbio è solo esterno con sovrapposta invetriatura verde, all'interno vi è soltanto vetrina incolore. Nelle forme aperte l'interno è sempre ingobbiato, mentre l'esterno può esserlo oppure può essere nudo o solo invetriato.

Graffita a stecca: impasto depurato, duro e rosso; forme aperte; superficie esterna nuda ed interna ingobbiata e decorata con rosoni centrali e serie di sgraffi eseguiti a stecca sotto vetrina gialla o verde. Stilisticamente sono assegnabili alla produzione toscana; tale tipo in Liguria è comunemente attribuito al XVI secolo (n. 13).

Graffita policroma: catini troncoconici con bordo appiattito e ripiegato ad uncino e scodelle emisferiche a tesa inclinata: impasto depurato, abbastanza duro e rosso; superfici esterne nude ed interne ingobbiate con decorazione graffita a punta costituita da motivi vegetali molto schematizzati sotto vetrina lucida ed incolore macchiata con ramina e ferraccia (n. 14-15). Stilisticamente appare essere produzione piuttosto tarda almeno XVI secolo) di provenienza più probabilmente toscana che padana; tipo non rinvenuto finora in Liguria. [132]

Ceramiche smaltate (maioliche):

Maiolica Arcaica toscana: si distinguono due tipi. Uno costituito da boccali a basso ventre con piede svasato ad impasto abbastanza duro e depurato di color rosso; la lunga spalla troncoconica è ricoperta all'esterno da smalto rosato con decorazioni a motivi regolari e geometrici dipinti a ramina e manganese (n. 16-17). In Liguria questo tipo proveniente dalla Toscana è datato al XIV secolo. L'altro tipo è costituito da un frammento di bacino troncoconico apodo a impasto depurato, duro e di color rosso vinato; superficie esterna nuda ed interna rivestita da smalto bianco-grigiastro e decorata con motivi vegetali schematizzati dipinti in ramina e manganese (n. 18). Quasi sicuramente è produzione toscana dell'inizio del XV secolo (BLAKE 1971; GARDINI et al. 1972, 36-37; CORA 1973).

Maiolica policroma toscana: piatti a calotta sferica con breve tesa orizzontale e piede a disco concavo, foggiati con impasto tenero molto depurato di color bianco sporco, ricoperti tranne che sotto il piede, da sottile smalto facilmente scrostabile; decorazioni dipinte a cobalto, ramina ferraccia, antimonio e manganese a motivi concentrici attorno a rosoni o figure centrali, talora con piccole spirali bianche sgraffiate sul cobalto

Maiolica ligure: piatti con ampia tesa inclinata e piede ad anello; impasto depurato, poroso, tenero e di color cuoio chiaro; interamente ricoperti da smalto pesante; si distinguono due tipi. Uno a fondo turchese chiarodecorato a motivi calligrafici a volute tipo B (FARRIS e FERRARESE 1969, 198-200) tipico delle fabbriche genovesi della metà del XVI secolo (n. 21). Il secondo tipo presenta fondo celeste con decorazione a quartieri dipinta in blu; tipica produzione savonese dello stesso periodo (ib. 215-16; CAMEIRANA 1969, 245, tav. XI) (n. 22) (8).

Laterizi:
Alcuni frammenti non particolarmente significativi di vari tipi: mattoni, tegoli, embrici; due presentano tracce di malta.
Vetri:
Pochi e piccoli frammenti di vetri incolori e verdi.
Oggetti metallici:
Moneta: un picciolo della Repubblica di Lucca (1369/1400). D/+OTTO IN (PERATOR). Nel campo, grande L ornata con trifogli alle estremità, c. perl. R/( +SANTVS VVLTVS). Testa del Volto Santo con corona a tre punte, di tre quarti a sinistra; c.perl.
Mistura; mod. mm 13xll; gr XXX. Pessima conservazione. C.N.I., XI, h. 46, Tav. V, 27 (determinazione di A. Bertino). E stata rinvenuta durante la pulizia preliminare allo scavo, presso il muro di fondazione del colonnato sud, e purtroppo non è stato possibile appurarne l'esatta provenienza stratigrafica. [134]/span>
Un frammento di lamina di bronzo con orlo lievemente curvilineo; misura circa 15x9 mm; presenta su una faccia tracce di doratura. Rinvenuta nel riempimento della tomba, probabilmente apparteneva alla sepoltura (n. 231.
Frammenti di lamina di bronzo spessi 1-1,5 mm; sono piatti, tranne uno stretto ed incurvato ad uncino ( n. 24-25).
Tav. II. Materiale estratto dalla fornace.  

Chiodi di ferro: parte di essi, provenienti dal riempimento della tomba, dovevano commettere le assi della cassa (recano tracce di legno di castagno). (CASTELLETTI, in Appendice). Sono raggruppabili in tre tipi distinguibili dalla forma e dalle dimensioni della testa. Nei primi due tipi essa è piatta, quadrata e disposta perpendicolarmente al corpo; il suo lato misura rispettivamente circa 14 e 19 mm (n. 26-27). Il terzo tipo presenta una testa semicircolare ed appiattita disposta in asse col corpo e lunga approssimativamente 22 mm ( n. 28).
Oggetti in lamina di ferro: una probabile lama di coltello (due frammenti di 38x15 e 50x20 mm) ed una lamina incurvata ad arco spessa 3-4 mm, larga 16-19 mm e lunga 60 mm.
Resti ossei:
Prevalentemente di suini ed ovini; un dente bovino.

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03.2) Materiale inerente all'attività della fornace:

Lastre di terracotta: da numerosi frammenti (provenienti soprattutto dallo strato A7) è stato possibile ricostruire parzialmente non meno di quattro lastre di terracotta a forma di trapezi molto allungati (o triangoli con un vertice smussato). In una di esse (n. 293 il lato di base misura 40 cm, in un'altra (n. 30) (dell'esattezza della ricostruzione non si è però del tutto sicuri) i due lati maggiori, lunghi circa 60 cm, formano tra loro un angolo di circa 30°, l'altezza è di circa 63 cm, le due basi misurano rispettivamente 40 e 10 cm. Il loro spessore varia da 20 a 40 mm. Risultano modellate a mano, senza ausilio di stampi, sopra un piano di assi di legno di cui conservano le impronte su una faccia. L'impasto è abbastanza depurato, tenero e di color arancio pallido. La loro funzione era probabilmente quella di regolare il tiraggio della fiamma verso i punti della fornace nei quali fosse stata necessaria una maggiore quantità di calore (non dovevano però trovarsi troppo vicino al luogo di fusione del metallo, che altrimenti si sarebbero vetrificate). Elementi di questo tipo non sono menzionati né dal Teofilo, né da altre fonti.

Stampo per campana: aalcuni frammenti della forma esterna (camicia) in argilla cotta; impasto depurato e tenero di color arancio pallido; annerita la faccia a contatto del metallo (di cui rimangono tracce puntiformi ossidate) e lo strato immediatamente sottostante per uno spessore di 5-10 mm; lo spessore dei frammenti oscilla tra 30 e 40 mm; l'argilla si presenta stratificata e pertanto risulta applicata in più riprese. Due pezzi sono conformati in modo da suggerire una loro collocazione nell'insieme, l’uno come parte del foro di colata del metallo (infusorium), l'altro come parte della carenatura nel corpo della campana (n. 31-32). Data l'esiguità del numero e delle dimensioni dei resti è purtroppo impossibile ricavare da essi una ricostruzione della forma dell'intera campana.

Canale di colata: frammento di terra cotta a impasto abbastanza depurato, friabile e di colore giallo, recante un'impronta cilindrica concava larga 40 mm e conservata per la lunghezza di 90 mm; lo strato superficiale di questa ( spesso 6 mm ) è in terra indurita e di colore molto scuro quasi nero lo strato sottostante è arrossato dal calore per uno spessore di 4 mm, mentre il resto del pezzo è praticamente crudo. Molto probabilmente è un tratto del canale di colata del metallo dal crogiuolo allo stampo. [136]

Argilla cotta: frammenti di terra cotta di color rosso. Modellati senza una forma determinata. Probabilmente intonacature e stuccature di varie parti della fornace eseguite con argilla spalmata con le mani, di cui in alcuni pezzi si riconoscono le impronte.
Tav. III. Materiale inerente all’attività della fornace. I pezzi 29 e 30 hanno scala differente.  

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Soletta (c): già menzionata nella descrizione della fornace; alcuni frammenti ad impasto friabile, con superficie indurita.
Suola con superficie vetrificata: alcuni laterizi (provenienti soprattutto dal pozzo C) presentano uno o più lati gradualmente surriscaldati fino a vetrificarsi; esternamente si notano tracce di bronzo ossidato in superficie ed inalterato sotto qualche millimetro. Un'analoga vetrificazione è avvenuta in alcuni frammenti di rivestimento argilloso, uno di questi presenta un foro cilindrico del diametro di 23 mm e lungo 70 mm, parzialmente coperto da colature di argilla vetrificata (n. 33 ) Quasi certamente si tratta dell'impronta lasciata dall'ugello di un mantice.
Scorie vetrificate: gocce o placche di argilla vetrificata, talvolta con tracce di metallo.
Colature di metallo: alcune colature di bronzo su piani o in interstizi di cui riproducono la forma, il metallo è superficialmente alterato in carbonati di rame. Su di esso è stato possibile effettuare un'analisi chimica della lega metallica
 (9).

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04. Interpretazioni

 

Dalla stratigrafia è possibile rilevare nel sito oggetto di questo studio una serie di fasi tra loro chiaramente distinguibili ed identificabili.

Un primo insediamento medievale anteriore alle strutture esaminate (e molto probabilmente anche alla chiesa stessa) è testimoniato dal deposito del IX strato, contenente frammenti di ceramica priva di rivestimento ed avanzi di pasto, oltre ad alcuni oggetti in ferro. Questo primo abitato si stabilì su un terreno di origine alluvionale, senza tracce di precedenti insediamenti romani o protostorici e, almeno in questa zona, non raggiunse una densità o intensità tali da lasciare cospicui resti organici o piani di calpestio. Una datazione precisa attraverso i pochi elementi a disposizione è impossibile; una collocazione anteriormente al XII secolo è comunque suffragata dalla preesistenza di esso alla fornace, databile al XII secolo, dalla presenza del tipo di ceramica vacuolare già altrove rinvenuto in siti altomedievali, ed infine dalla totale assenza di ceramiche invetriate. [138]

Su questo terreno si installò in seguito il cantiere per la costruzione di un edificio in pietra e calce: certamente una prima fase edilizia della chiesa. Gli operai che vi lavorarono consumavano sul posto i loro pasti, di cui rimangono gli avanzi (resti ossei di animali) e frammenti di stoviglie (testi, olle ed altri tipi, tutti senza rivestimento, tranne un'invetriata probabilmente altomedievale). Oltre a questi resti erano presenti nel deposito (VIII strato), a testimoniarne la formazione nel corso di un'attività edilizia, numerose scaglie calcareo marnose, residui di lavorazione della pietra, ed abbondanti tracce di malta color bianco cenere. Ulteriore riprova dell'attività di cantiere è la lente di calce spessa alcuni centimetri presente sulla superficie dello strato, a nord.

È al termine di questa fase che è stata scavata la fornace. Dopo la sua utilizzazione essa fu riempita impiegando le macerie di quegli stessi materiali che erano serviti per la sua costruzione ed il suo funzionamento, e cioè sabbia, pietre, laterizi, scorie metalliche. Anche alla superficie di questo riempimento sono state rinvenute schegge di pietra che suggeriscono come i lavori edilizi non fossero ancora stati portati a termine all'epoca della fusione.

 

In seguito, probabilmente durante o immediatamente dopo il riempimento della fornace, si formò il VII strato, di colore scuro e con carboni, non uniforme né della stessa natura su tutta la superficie.
IIl livello del suolo fu poi innalzato con un apporto di terra nella quale erano ancora presenti residui della fusione (VI strato). Furono quindi scavate, attraversando anche gli strati sottostanti, le fondazioni dei colonnati, che risultano pertanto posteriori alla fornace. I due muri di fondazione sembrano essere stati eseguiti interamente sotto il livello del suolo, erigendo la muratura a corsi abbastanza regolari contro le pareti delle fosse scavate. Terminata questa operazione furono innalzate le colonne, poggianti ciascuna su basamenti quadrangolari. Un pavimento in cotto (IV strato) fu sistemato dopo aver ulteriormente innalzato il livello del suolo col V strato, in modo che dei basamenti delle colonne emergessero soltanto le sommità. L'impronta di un palo di legno che attraversa gli strati V e VI suggerisce l'esecuzione in questa fase di lavori effettuati con l'ausilio di impalcature.
Non è possibile purtroppo assegnare archeologicamente una datazione a questi e ad altri elementi dell'antica chiesa, né stabilire quali relazioni intercorrano tra essi, a causa dell'esiguità del deposito stratigrafico risparmiato dallo sterro condotto meccanicamente. Il pavimento sopraccennato non sembrerebbe tuttavia appartenere alla prima fase dell'edificio, sebbene non siano state individuate tracce di precedenti pavimentazioni che potrebbero però essere già state asportate in antico. [140]
Quando infine si intraprese la ricostruzione della vecchia chiesa, secondo mutate concezioni architettoniche in carattere con i nuovi tempi, per ottenere un'unica vasta aula furono abbattuti i colonnati e rinforzati e sopraelevati i muri perimetrali. Le macerie risultanti da queste operazioni (III strato) innalzarono ulteriormente il livello del suolo, che fu quindi pareggiato e portato alla quota voluta mediante l'apporto di altro terriccio (II strato). Sulla superficie così ottenuta fu quindi applicata la nuova pavimentazione in lastre marmoree (I strato).
Una tomba a cassa lignea era stata scavata fino ad intaccare il riempimento della fornace e lo strato VIII. Negli statuti del 1330 si vietava espressamente il seppellimento dei defunti all'interno della pieve (GIANFRANCESCHI 1965, 40 ) ed inoltre la ceramica più recente rinvenuta in questa sepoltura è rappresentata da tre frammenti di maiolica arcaica di tipo toscano. Pertanto, ed anche per il tipo stesso di sepoltura, si può ritenere assai probabile che tale inumazione non sia posteriore ai primi decenni del XIV secolo
(10).
 
Riferendosi ai dati raccolti è possibile collocare cronologicamente la fornace nei primi decenni del XII secolo. Essa, come si è visto, è stata costruita scavando in un terreno (VIII strato) che recava tracce dello svolgimento di un'attività edilizia, e pure nel suo riempimento, effettuato dopo l'uso, erano presenti resti di lavorazione edile. Per questo appare compresa tra due momenti distinti di attività di cantiere, appartenenti tuttavia, per la loro continuità, alla stessa fase costruttiva dell'intero edificio. Questa fase è quasi certamente la prima, che, in caso contrario, gli strati edilizi attraversati nello scavare la fornace sarebbero stati più d'uno, con interposti piani d'uso o pavimenti. Poiché la pieve di S. Andrea è già sicuramente menzionata in un documento del 1137 (PISTARINO 1961, 26). la fornace in questione risulta pertanto anteriore a tale data. Questa datazione è confermata dalla totale assenza di ceramiche invetriate posteriori al XII secolo negli strati anteriori, contemporanei ed immediatamente successivi all’opera (IX, VIII, VII e VI strato). Inoltre la seconda fase costruttiva ravvisabile nelle murature esterne della chiesa sembra chiaramente quella documentata negli statuti del 1330; al corrispondente cantiere, per i motivi esposti, non può appartenere la fornace che risulta pure essere anteriore sia alla tomba (quasi sicuramente, come si è visto, assegnabile al XIV secolo ) che ai colonnati della chiesa
(11). [141]
È assai improbabile d'altra parte che una fusione all'interno della pieve abbia avuto luogo durante un periodo d'uso dell'edificio, poiché tale` fatto avrebbe comportato, oltre a problemi tecnici di aerazione e tiraggio, la distruzione della pavimentazione esistente ed un inopportuno affumicamento dell'interno della chiesa.
La gettata della campana sembra pertanto essere stata effettuata durante la prima fase edilizia, a lavori già iniziati: probabilmente si erano già innalzati i muri perimetrali e restavano da eseguire i colonnati e la copertura.
Il fatto che l'operazione sia stata compiuta nell'area interna al nuovo edificio sacro e proprio lungo l'asse mediano di esso, induce a ritenere tale scelta non casuale o subordinata solo a necessità puramente funzionali, ma dettata forse anche da motivi religiosi e simbolici che dovettero conferire all'operazione tecnica un certo valore rituale
(12). Per di più la campana collocata in S. Andrea svolgeva, come del resto la pieve stessa, una funzione non solo religiosa, ma anche civile, secondo quanto si legge negli statuti del 1330 (13). Naturalmente, anche se è abbastanza improbabile che la campana della cui fusione si sono trovati i resti sia la stessa citata due secoli dopo negli Statuti, tuttavia si può pensare che già allora le fosse riservata una funzione tale da destinarle particolari cure durante la gettata.
E’ noto come le campane venissero realizzate da fonditori itineranti, monaci o laici. che già a partire dal IX secolo si spostavano da un luogo all'altro recando con sé solo un armamentario estremamente ridotto e trasportabile ed utilizzando sul posto materiali facilmente reperibili ed economici, quali legno, terra, sterco, pietre, sego o cera (ROSSI 1949, 565; NICOURT 1971, 55-82) (14). Sebbene le prime fonderie stabili inizino ad operare già nel XVI secolo, l'uso della fusione in loco si protrae in taluni casi fino alla metà del XIX secolo (BERTHELE’ 1908) (in Liguria addirittura fino a poco prima della seconda Guerra Mondiale (PICASSO, informazione)), lasciando cospicue testimonianze sia documentarie, sia sul terreno. In quest'ultimo caso, trattandosi di strutture relativamente poco appariscenti, scavate nella terra e con murature a secco, è facile che i resti sepolti siano distrutti qualora i lavori all'interno o nelle immediate vicinanze di edifici cultuali non siano condotti con la dovuta attenzione e scrupolosità.
Con tutto ciò un discreto numero di fornaci per campane sono già state scavate archeologicamente, o per lo meno se ne è riconosciuta l'esistenza, sia in Italia che all'estero.
Particolarmente interessante e I'esemplare rinvenuto a Pavia negli scavi della Torre Civica. In esso, datato intorno al 1150, [142] manca la fornace per la fusione del bronzo ed è presente solo quella per lo stampo, costituita da una buca d'alimentazione collegata alla fornace vera e propria, scavata nel terreno e rivestita da un muretto a secco intonacato d'argilla. Tre sostegni sul fondo alti circa 50 cm dovevano sostenere lo stampo della campana la cui forma e dimensioni sono state ricostruite in base ai numerosi frammenti rinvenuti ( Ø all'orlo leggermente inferiore ad 80 cm, spessore circa 9 cm, altezza circa 80 cm.) (WARD PERKINS e NEPOTI 1974, 12).
DDue pozzi per la fusione di campane, datati alla seconda metà del XV secolo, sono stati scavati ad Abbadia Celestina (Perugia) (BLAGG 1974, 7). Frammenti di crogiuolo e dello stampo per una piccola campana sono stati rinvenuti nella pieve di Codiponte (Massa Carrara) (di prossima pubblicazione su « Giornale Storico della Lunigiana »). Resti di fusione di campane sono stati riconosciuti all'interno della torre campanaria di S. Martino a Framura (La Spezia) e nella chiesa di S. Nicolò a Manerba del Garda (Brescia) (MANNONI, informazione). A Tuscania (Viterbo), nel corso di sterri, sono stati recuperati frammenti di stampo e scorie provenienti dalle chiese di S. Croce e S. Maria Maggiore; nelle « Riformanze del Consiglio » della medesima città vi è notizia della fusione dclla campana per una torre, effettuata presso la chiesa di S. Maria della Rosa durante la prima metà del XV secolo (ANDREWS, informazione). In Sicilia è stata studiata un'ampia documentazione riguardante i fonditori locali a cominciare dal XV secolo (FERRIGNO 1930, 259,280).
Anche in Sarzana stessa esistono documenti relativi alla fusione di campane posteriori alla nostra. Quelle per la chiesa di S. Maria furono fuse nel 1433 ad opera di Bartolomeo da Pisa, membro di una celebre famiglia di fonditori pisani attivi dal XIII secolo, e nel 1511 e 1527 nel opera di mastro Agostino di Tartarino del Borghetto, rammentato altrove come fonditore delle campane di Massa Ducale. La campana maggiore di S. Andrea fu rifusa a pubbliche spese dal cappuccino fra Tomaso da Sarzana nel proprio convento l’anno l678 (NERI 1877, 302).
In Francia, oltre a numerosi testi d'archivio che iniziano dal XIV secolo, sono stati individuati avanzi di fornaci nelle chiese di Vienne-en-Val (Loiret), Dampmart (Seine-et-Marne), Sarcelles (Val d'Oise) (NICOURT 1971, 64-67).
Per la Gran Bretagna sono da segnalare i tre ritrovamenti di Winchester: uno, del tardo X secolo, all'interno dell'Old Minster sassone (BIDDLE 1965, 254-5, fig. 5), gli altri due, in relazione all'attuale cattedrale romanica, situati all'esterno di essa (id. 1966, 325, tav. LXb). Si ha infine notizia di analoghi rinvenimenti a Cheddar ed in Olanda e, per il XVIII secolo, nella cattedrale di Canterbury (id. 1965, 255).

 

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05. Funzionamento

 

La fornace scoperta a Sarzana è particolarmente complessa e interessante, scostandosi in molti particolari da quella descritta dal monaco Teofilo nel suo celebre « De Diversis Artibus » (15); trattandosi di un testo coevo al reperto ci si riferirà ad esso per comprendere e spiegare la struttura ed il funzionamento di quest'ultimo, nonché le differenze esistenti tra i due tipi di fornace.
La prima operazione necessaria per la gettata di una campana era l'esecuzione dello stampo. Di questa fase, eseguita al di sopra del suolo servendosi di strutture mobili in legno, non ci è rimasta traccia. [143] Nei frammenti di stampo si può solo costatare come l'argilla fosse effettivamente disposta a strati successivi, attendendo prima di applicarne uno nuovo la completa essiccazione del sottostante (DODWELL 1961, 150-152). E’ possibile che le impronte di cereali riconosciute nelle lastre di terracotta (CASTELLETTI, in Appendice) provengano da paglia impiegata per fornire ad esse, e molto probabilmente anche allo stampo, una maggiore resistenza e porosità; ancor oggi infatti si usa a tale scopo, impastando l'argilla della forma esterna, mescolare paglia, pezzi di spago ed altro (PICASSO, informazione)
(16).

Nel pozzo B è identificabile la fornace per la cottura dello stampo e la successiva colata del metallo.
Il Teofilo tuttavia non menziona né la fossa A, che certamente serviva ad alimentare il fuoco, né le diramazioni del canale h, né la soletta c con le relative aperture d; la sua fornace è semplicemente una fossa sul cui fondo è costruito con pietre un basamento per lo stampo, lasciando nel mezzo un canale in cui accendere il fuoco (DODWELL 1961, 152).
Lo stampo, già interamente costruito, veniva calato nella fornace ponendolo sopra la fossa riempita nuovamente ed asportando man mano la terra sottostante (17) ( ib, 152-153). A tale scopo fu probabilmente utilizzata a Sarzana l'abbondante sabbia rinvenuta.
Dopo aver sistemato la forma sul basamento predisposto in fondo alla fossa (costituito in questo caso dai setti e, le si erigeva attorno, alla dístanza di mezzo piede, un muretto circolare in pietre refrattarie ed argilla (ib/i>., 153). A Sarzana, sebbene la parete del pozzo B presenti un rivestimento di pietre ed argilla (per aumentarne il potere coibente, più che la resistenza meccanica), [144] sembrerebbe tuttavia più probabile che questo sia stato disposto prima di collocare la forma, essendone altrimenti assai difficoltosa l'esecuzione.

Lo stampo veniva prima riscaldato con un fuoco acceso al di sotto per scioglierne il sego, quindi veniva cotto a lungo, appiccando il fuoco ad abbondante legna raccolta tutt'attorno ad esso (ib., 153). Questa operazione è testimoniata a Sarzana dal cospicuo arrossamento ed indurimento della parete del pozzo B, originati dal contatto diretto con una forte fiamma.

La soletta c (costruita probabilmente applicando l'argilla su supporti organici distrutti poi dalla fiamma e di cui non rimane traccia) doveva servire a non disperdere il calore del fuoco acceso nel canale k e a convogliarlo forzatamente verso le aperture d, 0 anche a favorire il tiraggio dell'aria per la combustione che avveniva tra la parete del pozzo B e lo stampo, per cuocerlo.
Il crostone nero dal contorno curvilineo presente sulla superficie della soletta è forse l'impronta della base dello stampo, la cui presenza ha impedito in quel punto l`ossidazione dell'argilla.
Il pozzo C è una struttura non menzionata in alcun modo nel testo del Teofilo. La sua collocazione ed il suo aspetto inducono a ritenerlo la fornace per la fusione del bronzo, sebbene il Teofilo fornisca di tale elemento una descrizione completamente diversa (ib., 153-156). Non è tuttavia da escludere che possa trattarsi della fornace per la gettata di una seconda campana, più piccola; esistono infatti elementi a sostegno e a sfavore di entrambe le tesi.

Nel primo caso il crogiuolo sarebbe stato sorretto dalle due file di mattoni g ed attraverso il canale f sarebbe stato riscaldato dal fuoco acceso nell'imboccatura della fossa A. Nei fori 1, m, n ed o (la parete è cotta solo al di sotto di essi) dovevano essere sistemate sbarre metalliche per sostenere una o più lastre al fine di non disperdere e convogliare la fiamma nel punto voluto (forse le stesse lastre di terracotta rinvenute).
È impossibile però che in tale maniera si raggiungesse nel crogiuolo la temperatura di fusione del rame ( 1064 °C ), sia per la collocazione non ottimale del pozzo C rispetto al fornello, sia per la ridotta superficie del crogiuolo esposta al calore consentita dal canale i. Per fondere il metallo il Teofilo prescrive invece di collocare nel crogiuolo rame e carbone, e mescolarvi quindi carboni accesi azionando i mantici (ib. 154). Oggi si sa che in questo modo si evita anche, mediante riduzione la dannosa formazione di ossidulo di rame. L'uso di mantici proprio nel punto in cui avveniva la fusione è testimoniato a Sarzana dal rinvenimento dell'impronta dell'ugello di uno di essi in un frammento vetrificato del rivestimento argilloso.
Una simile disposizione del crogiuolo sarebbe servita quindi solo a cuocerne l'argilla che doveva rivestirlo ed eventualmente a facilitare, [145] mediante preriscaldamento, l'accensione del carbone misto al rame, utilizzando lo stesso fuoco acceso per cuocere lo stampo.


Il rinvenimento nel pozzo C della maggior parte dei frammenti di laterizi di argilla vetrificati con abbondanti tracce di bronzo, sembrerebbe inoltre indice di come la temperatura più elevata ( per ottenere evidentemente la fusione) sia stata raggiunta proprio in tale pozzo.


Questa interpretazione è tuttavia messa in forse da alcune considerazioni. Dalla posizione in cui era collocato sarebbe stato molto arduo rimuovere il crogiuolo per effettuare la colata; doveva trattarsi allora di un crogiuolo fisso ed il bronzo liquefatto fuoriuscire da un foro praticato sul suo fondo e raggiungere lo stampo attraverso un canale di colata (di cui peraltro si è rinvenuto un frammento) (ib., 156) (18). Per consentire lo scorrimento del metallo il fondo del crogiuolo avrebbe dovuto trovarsi ad un livello leggermente superiore a quello dell'infusorium dello stampo.
A Sarzana la differenza di livello tra il presunto piano d'appoggio del crogiuolo e quello dello stampo non supera i 40 cm., per cui l'altezza di quest'ultimo, ed ancor più quella della campana, sarebbe stata inferiore a tale misura. Ma la distanza tra gli appoggi c è tale da non consentire la collocazione di uno stampo il cui diametro non misurasse almeno 60 cm. Se poi il crostone nero curvilineo fosse stato effettivamente originato dalla presenza di uno stampo, questo avrebbe avuto un diametro approssimativo di 90-100 cm.
Queste misure di base sono incompatibili con un'altezza di 40 cm. (generalmente nelle campane la misura del diametro coincide grosso modo con quella dell'altezza e nel Medio Evo, anzi, quest'ultima tendeva spesso a prevalere nettamente sulla prima). Sembrerebbe inoltre non molto spiegabile la costruzione di una fornace così complessa per la fusione di una piccola campana.
D'altra parte la profondità di 80 cm. del pozzo B (che secondo il Teofilo doveva corrispondere all'altezza dello stampo (ib, 152) si accorda invece con le misure per la base sopra riportate; le dimensioni che la campana avrebbe potuto avere, tenendo conto dello spessore dello stampo, si sarebbero così aggirate intorno agli 80 cm per il diametro e poco meno per l'altezza (19), [146]
Ma, oltre a questi, la fornace presenta ancora altri interrogativi cui non è per ora possibile fornire una risposta Innanzitutto la funzione dell'apertura nella fossa A: forse era una semplice presa d'aria o forse comunicava con qualche altro elemento di cui non è purtroppo rimasta traccia. Poi il significato di elementi e reperti sul cui effettivo impiego permangono dubbi, ed altre incertezze che è sperabile si possano risolvere quando alle attuali conoscenze si saranno aggiunti nuovi ritrovamenti e studi.

FERDINANDO BONORA

 

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Note

 

* Lavoro eseguito in collaborazione con il Centro per la Storia della Tecnica in Italia (C. N..R. - Genova) c pubblicato con il contributo del Centro stesso. T. Mannoni ha seguito tutto il lavoro con informazioni, suggerimenti e correzioni, D. ANDREWS ha fornito notizie sui ritrovamenti di Tuscania. Un particolare ringraziamento va al sig. A. Picasso di Avegno (Genova), fonditore di campane ( seguendo la secolare tradizione della sua famiglia, la cui attività è documentata già nel 1594), per avere gentilmente fornito con la sua esperienza numerose informazioni e delucidazioni.

1 In un documento del 1120. è citata una pieve di S. Andrea che si può ragionevolmente identificare con la nostra, Si sa invece per certo che nel 1137 essa fu sede di una sinodo diocesana, in seguito è ripetutamente menzionata in privilegi papali del 1148, 1154, 1203 ed in altri documenti (PISTARINO 1961, 12-14-16-26).

2  Per informazioni più dettagliate ed esaurienti sull'edificio in questione vedi i due scritti del FOTRMENTINI citati nella bibliografia, da cui è stata tratta parte di queste notizie

3  «« ... porticus ecclesie Sancti Andree ubi jura reddenti pro communi Sarzane ». Atto 22 ottobre 1333 in « Registrum Novum», CC. 318-23.storiche./span>

4 «…item dirui debea paries unus ecclesie Sancti Andree versum palatium communis et postea refici usqe at viam Classi Pleborum et retro ispam ecclesiam usque ad dictam viam, ut operariis videbitur convenire ». (GIANFRANCESCHI 1965, 40). Nei medesimi statuti si vietava severamente di seppellire i morti all'interno o davanti alla chiesa, esistendo su un lato un cimitero: « ... item non possit perpetuo in dictis ecclesis (S. Maria e S. Andrea) vel ante ipsas ecclesias, aliquis seppelliri sub pena librarum .X. imperialium pro eo qui foveam faciet auferenda de facto contrafeciente et quotiens fuerit ventum contra... ». Notizia dell'esistenza del contiguo cimitero, come pure di cappelle interne addossate ai muri perimetrali si ricava dalla relazione della visita pastorale effettuata nella pieve dall'allora vescovo cardinale Benedetto Lomellini il 19 marzo 1568 (CAVALLI 1967, 60-62). Che le cappelle (quattro a sinistra e due a destra) fossero di costruzione non recente ed assegnabili quindi con molta probabilità al rifacimento tre-quattrocentesco si può dedurre dal fatto che esse non si presentavano in ottimo stato, avendo tovaglie e paramenti logori e consunti e pietre sconnesse. Il fatto poi che in quell'occasione si deliberasse di erigere una nuova cappella in uno spazio vuoto della parete di destra, lascia pensare che ancora nel 1568 non fosse prevista la ricostruzione che pochi anni dopo avrebbe coinvolto l'intera architettura della chiesa.

5 Il lavoro è stato favorito dall'interessamento e dall'ospitalità di Mons. D. Faccini c del geometra Faconti, nonché dalla collaborazione di A. Cozzo della Soprintendenza ai Monumenti e dell'arch. Rispogliati. Ad esso hanno partecipato, sotto la responsabilità di T. Mannoni S. Bazzurro, F. Bonora, D. Cabona, G. C. Conti, S. Fossati R. Goricchi ed 0. Pizzolo. Una notizia preliminare dello scavo era stata pubblicata dopo pochi mesi (GRUPPO RICERCHE DI GENOVA 1973).

6  Per non dare luogo a confusioni con la stratigrafia esterna alla fornace, gli strati dei riempimento vengono indicati con cifre arabe e suddivisi secondo i tre elementi costituenti il complesso.

7  Tutta la sabbia incontrata nello scavo, sia isolata, sia associata ad altro tipo di terreno, sia infine usata come dimagrante nell'impasto di malte, e della stessa natura ed origine e presenta le seguenti caratteristiche: granulometria da 0,5 a 5 mm.; granuli arrotondati e leggermente appiattiti di quarzo, calcari microcristallini, arenarie e serpentine. Questi caratteri concordano perfettamente con quelli delle sabbie del tratto di foce del fiume Magra

8 Qualcuno dei frammenti di ceramica di età rinascimentale presenta tracce di riparazioni eseguite con cuciture di filo di ferro.

9  L'analisi, effettuata da A. Mazzucotelli (sezione applicata all'Archeologia degli Istituti di Mineralogia e Petrografia dell'Università di Genova), ha fornito i seguenti risultati:
Cu 70,54%
Pb 0,53%
Fe 1356 parti per milione
Zn 50 p.p.m.
Al 621 p.p.m.
As 334 p p.m.
Sb 141 p p.m.
Sn ed altri per differenza 28,68%
La percentuale di stagno risulta assai elevata: il Teofilo infatti prescrive di impiegare quattro parti di rame ed una di stagno (20% di Sn) (DODWELL 1961, 154). Il VIOLLET LE DUC (s.d., 284) indica una lega col 25% di Sn mentre attualmente la percentuale di stagno oscilla generalmente tra il 20 ed il 22%, con una tolleranza dell'1% di impurità (PICASSO informazione). Purtroppo con l'apparecchiatura a disposizione non è stato possibile accertare nella lega la presenza o meno di oro od argento (v. nota i2).

10 La presenza nella pieve di una lastra tombale datata 1400, nonché di un’altra assegnabile alla prima metà del XIV secolo (Neri 1877, 315-317), induce tuttavia a pensare che la norma statutaria non dovesse rivestire quel valore generale ed assoluto che apparentemente sembra avere.

11 Le risultanze archeologiche, vista anche la posizione della moneta, non escludono tuttavia che le attuali fondazioni dei colonnati siano state gettate nel secolo XIV piuttosto che durante la prima fase dell’edificio.

12 In rari casi la fusione in loco delle campane è ricordata in Francia da iscrizioni sui muri di qualche chiesa e ciò può essere un indizio dei carattere non solo tecnico, ma anche rituale dell'operazione (NICOURT, 1971, 55, figg. 2-3). Inoltre, in certi luoghi ed in tempi non lontani la popolazione usava gettare nel crogiuolo, al momento della fusione, oggetti d'oro e d'argento, per devozione al santo titolare e nell'intento di migliorare il suono della campana (VIOLLET LE DUC c s.d., 284, FERRIGNO 1930, 268-69 PICASSO informazione)

13 Nel capitolo « De horis iudicialibus »si legge « Pulsetur campana sancti Andree de Sarcana circa mediam tertiam die qualibet iudiciali per spatium aliquale que hora iudicialis tertia nurcupetur... » (GIANFRANCESCHI 1965, 155)

14 Per informazioni sull'origine delle campane ed il loro uso nel passato si veda anche LECLERCQ 1914.

15 Si è seguita l’edizione con traduzione inglese a fronte (DODWELL 1961). Particolareggiate ricostruzioni grafiche basate sul testo sono pubblicate in THEOBALD 1933 e riportate anche in HOWTHORNE e SMITH 1963 (figg. 21-24)

16 Per modellare lo stampo si potevano adottare diversi sistemi. Il Teofilo prescrive di applicare strati d'argilla e di sego attorno ad un trave di legno disposto orizzontalmente e fatto ruotare su se stesso a mo' di tornio: si otteneva un unico elemento inscindibile e la fusione avveniva a cera persa (DODWFLL 1961, 150-152). Successivamente si affermò l'uso della camicia (forma esterna) amovibile che, insieme al perfezionamento delle tecniche di fusione, rese possibile la gettata di campane di grandi dimensioni la cui realizzazione sarebbe stata altrimenti quasi impossibile. Si pensa che questa considerevole evoluzione tecnica si sia verificata a partire dal XIV secolo (forse addirittura dal XIII) (VIOLLET-LE-DUC s.d., 283, NICOURT 1971 77). Lo stampo continuava ad essere modellato sull'asse ruotante, ma già almeno nel XV secolo lo si poteva costruire tenendolo fisso ed in posizione verticale (a volte già nella fossa di colata), servendosi, per conferirgli la forma voluta, di una sagoma di legno girevole attorno ad esso; contemporaneamente, per la determinazione della forma e delle dimensioni ai metodi empirici fino ad allora seguiti cominciarono a sostituirsi basi razionali e matematiche, con l'uso sistematico di calcoli e tabelle (manoscritto s.R. 228 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ) . Entrambi i metodi di modellatura furono trattati nel secolo seguente dal BIRINGUCCIO (1559, 203-216)che personalmente dichiarava di ritenere preferibile il secondo. Di quest'ultimo sistema, che prese poi il sopravvento, è stata fornita nel XVIII secolo un'accurata ed esauriente descrizione nell'ENCYCLOPEDIE (DIDEROT e D'ALAMBERT 1759, 447-451 ); esso salvo irrilevanti differenze in qualche particolare è lo stesso praticato ancor oggi quasi ovunque. Soltanto in rarissime fonderie ci si serve ancora abitualmente e con ottimi risultati dell'asse orizzontale ruotante (Fonderia Picasso).

17 In seguito lo stampo sarà calato con l'ausilio di paranchi, quando non verrà addirittura costruito già nella fossa.

18 Fino a non molto tempo fa la fusione, oltre che con il forno a riverbero abitualmente usato era ottenuta in certi casi mescolando carbone al metallo col metodo della manica, sostanzialmente identico all'uso deI crogiuolo fisso descritto dal Teofilo, tranne che per l'assenza di mantici o di qualsiasi altra forma di ventilazione forzata (PICASSO informazione)

19 Con molta approssimazione il bronzo necessario per una campana di questa grandezza occupa un volume di 40 dm3 . L’impronta curvilinea di metallo (h) saldata su un mattone nel pozzo (C) potrebbe essere stata lasciata da un corpo a base circolare avente un diametro di circa 40 cm. Se questo fosse stato un crogiuolo, per contenere il bronzo occorrente avrebbe dovuto essere alto almeno 35-40 cm, più un notevole margine considerando anche il volume del carbone e l’aumento dovuto alla fusione, raggiungendo così un’altezza di circa 90-100 cm estremamente improbabile per un crogiolo di quella base. Se, al limite, fosse stata effettivamente fusa una campana alta solo 40 cm, sarebbero occorsi circa 5 dm3 di bronzo, che avrebbero potuto essere comodamente fusi in un crogiuolo di 20-30 cm d'altezza (occupando il solo metallo un'altezza di circa 5 cm). Questo potrebbe essere il caso di Sarzana, se tuttavia le misure dello stampo supposte per la base non discordassero in tal modo con l'altezza. A questo punto sarebbe lecito avanzare anche l'ipotesi che l'oggetto fuso nella fornace non fosse una campana, ma qualche altro arredo per la chiesa, se l'analisi chimica delle colature di metallo non avesse rivelato una percentuale di stagno giustificabile solo in una lega per campane. (Per calcolare il volume delle campane ci si è basati su dati relativi a campane moderne fornite dalla Fonderia Picasso).

 

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Bibliografia

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