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 Archeologia fusoria

AREA II - ARCHIVIO STORICO (ARS)

Cap. ARS-C01 - Archeometallurgia - Pag. ARS-C01.03

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2012 - © Copyright 2007- 2024 - e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina


 

Minerali Metalliferi

 

INDICE:

 

 

Per minerali metalliferi devono intendersi “minerali dai quali si può ricavare economicamente un metallo (o più metalli)”. Si tratta pertanto di un concetto in continua evoluzione, in funzione della tecnologia e della domanda di mercato.

La prima immediata conseguenza è che non tutti i minerali che contengono un determinato metallo, anche in concentrazioni rilevanti, sono necessariamente minerali metalliferi, in quanto può non essere conveniente ricavare da essi tale metallo; per contro, diversi metalli geochimicamente scarsi vengono ricavati in prevalenza da minerali in cui sono presenti solo a livello di tracce (<1%).

Tra i principali fattori che condizionano il carattere “metallifero” di un determinato  minerale, oltre al suo contenuto (tenore) del metallo considerato, possiamo elencare:

  • La sua diffusione nei livelli superficiali della crosta (profondità massima 3-4 km), ed in particolare la possibilità di concentrarsi in determinati volumi di roccia (giacimenti, o corpi, metalliferi) in quantità nettamente superiori all’abbondanza media crustale.

  • La maggiore o minore richiesta del mercato, in funzione anche di materiali e/o sorgenti alternative (riciclaggio).

  • L’esistenza o meno di particolari tecnologie che consentano di estrarre economicamente il metallo dal minerale; ciò comprende sia il procedimento metallurgico vero e proprio (compresa l’eliminazione di eventuali altri metalli non desiderati), sia eventuali problemi di separazione del minerale da minerali non utili (“ganga”) ad esso associati.

 

Tabella 01: Principali minerali metalliferi dei metalli di uso industriale più comune

Tra i fattori che concorrono a determinare il costo di estrazione di un metallo da un suo minerale, un peso rilevante è rivestito dalla componente energetica.

A sua volta, la quantità di energia necessaria all’estrazione del metallo dipende fortemente dalla natura del legame chimico, e dalla conseguente stabilità della struttura del minerale.

Pertanto, salvo poche eccezioni, i silicati sono mediocri minerali metalliferi, sia perché in generale contengono tenori relativamente bassi di metalli d’interesse economico, sia perché il forte legame Si-O rende il loro trattamento energeticamente molto oneroso.

Ovviamente, i metalli nativi sarebbero per definizione i minerali metalliferi per eccellenza, tuttavia essi sono piuttosto rari nella crosta terrestre, ed il loro interesse pratico è limitato a poche specie (soprattutto metalli nobili).

In generale, i più importanti minerali metalliferi appartengono alle classi dei solfuri e degli ossidi (Tabella 01 a sinistra).

Infine, è utile sottolineare che, negli ultimi anni, nel computo complessivo del costo di estrazione di un metallo ha assunto sempre maggior rilievo la componente “costo ambientale”, ossia la potenziale pericolosità per l’ambiente del minerale e/o del procedimento d’estrazione e trattamento.

 

Alcuni esempi possono servire ad illustrare i concetti sopra esposti:

  • L’alluminio, pur essendo il metallo più abbondante della crosta terrestre, compare relativamente tardi (XIX secolo) nell’uso industriale. Ciò perché la sua estrazione comporta invariabilmente la rottura del fortissimo legame Al-O (es., l’allumina ha punto di fusione 2045° C), e solo la messa a punto di un processo metallurgico alquanto complesso (e tutt’ora abbastanza oneroso energeticamente) ha consentito la sua disponibilità a livello industriale. Peraltro, il corindone (Al2O3) è il minerale che ha il massimo contenuto di alluminio, ma non è utilizzato per l’estrazione del metallo, perché, pur non essendo raro, non forma concentrazioni particolarmente cospicue, il cui trattamento sarebbe troppo dispendioso.

  • Il rame è stato storicamente ricavato da molti minerali (vedi Tabella 01 soprastante), tra i quali il rame nativo è stato ovviamente il primo. Successivamente il ruolo principale di sorgente del metallo è stato ricoperto da minerali ossidati, soprattutto malachite; infine, da molti secoli ormai i principali minerali metalliferi del rame sono i solfuri, soprattutto la calcopirite, che, pur essendo meno ricca in Cu di altri minerali, è di gran lunga il più diffuso.

  • La blenda o sfalerite è il principale minerale di zinco, ma anche di metalli rari quali Cd, Ga, In, i cui minerali propri sono piuttosto rari e mai abbondanti.

  • La separazione dell’oro dai minerali di ganga ha quasi sempre comportato processi potenzialmente assai pericolosi per l’ambiente – amalgamazione con mercurio, che ha prodotto in molte aree significativi inquinamenti da questo metallo, e recentemente cianurazione. Il cianuro è ovviamente estremamente tossico, ma fortunatamente alquanto labile nell’ambiente supergenico, per cui i pur disastrosi episodi di inquinamento sono limitati ad eventi eccezionali, solitamente risultanti da cattiva progettazione e/o gestione degli impianti.

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La maggioranza dei minerali metalliferi, in particolare solfuri e ossidi (oltreché, ovviamente, i metalli nativi) presentano un forte carattere metallico del legame.

Pertanto, essi hanno molte proprietà fisiche tipicamente “metalliche”, compresa l’opacità anche in sezione sottile. Di conseguenza, uno strumento fondamentale per lo studio delle tessiture dei minerali metalliferi è stato, e per molti versi è tutt’ora, il microscopio in luce riflessa, detto anche microscopio metallografico. I principi fisici dell’ottica in luce riflessa sono molto più complessi dell’ottica in luce trasmessa.

Inoltre, alcune delle tipiche misure quantitative che è possibile eseguire (microdurezza e potere riflettente) richiedono strumenti aggiuntivi abbastanza costosi. Pertanto, la diagnostica in luce riflessa presenta maggiori problemi che in luce trasmessa, ed è per molti versi più un’arte che una scienza, basandosi in larga misura sull’esperienza dell’osservatore.

La grandezza fondamentale dell’ottica in luce riflessa è il potere riflettente o riflettanza, definito come

R = I/Io = (n - no)2 + k2

(n + no)2 + k2

dove:

- I = intensità della luce riflessa

- Io = intensità della radiazione incidente

- n = indice di rifrazione

- k = coefficiente di assorbimento del materiale

- no = indice di rifrazione del mezzo interposto tra il materiale e l'obiettivo (se aria n = 1)

Ne consegue che i minerali trasparenti (basso k) sono in genere poco riflettenti e in luce riflessa appaiono grigio-scuri, mentre i minerali opachi presentano i maggiori valori di R. Peraltro, sia n che k, e quindi R, dipendono dalla lunghezza d’onda; se la luce incidente è policromatica, le variazioni di R con la lunghezza d’onda risulteranno in una certa colorazione (in genere, abbastanza tenue) del materiale. Inoltre, per le sostanze otticamente anisotrope, n e k variano anche secondo l’orientazione cristallografica; pertanto, queste sostanza mostreranno pleocroismo di riflessione, e/o biriflettanza (variazione del potere riflettente).

A nicol incrociati, le sostanze anisotrope presentano un fenomeno simile a quello osservato in luce trasmessa – alternanza, al ruotare del piatto, di posizioni di minima luminosità e massima luminosità, con colori talora vivaci e spesso diagnostici; inoltre, le sostanze non completamente opache potranno presentare un fenomeno del tutto particolare, e spesso assai utile ai fini diagnostici, ossia una parziale emissione di luce dall’interno del campione (riflessi interni).

Un’ulteriore proprietà semiquantitativa è rappresentata dalla durezza di politura, rilevabile con una tecnica simile alla linea di Becke in luce trasmessa, ancorché basata su un diverso principio fisico; come accennato, è possibile, mediante un’idonea strumentazione, una misura quantitativa della durezza.

 

 

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Bibliografia

Bib-ST-000 - Testo di Ing. Arch. Michele Cuzzoni

Bib-ST-019 - Tratto da una monografia di M. Composta.

Bib-ST-020 - B. Rothenberg, The Ancient Metallurgy of Copper, Institute for Archaeo-Metallurgical Studies, Institute of Archaeology, University College London, London, Vol. 2, 1990.

Bib-ST-021 - D. A. Scott, Metallography and Microstructure of Ancient and Historic Metals, Getty Conservation Institute, The J. Paul Getty Museum, 2002 ISBN 0-89236-638-9.

Bib-ST-022 - W.H. Dennis, Metallurgy of the Non-Ferrous Metals, Sir Isaac Pitman & Sons Ltd,London1961.

Bib-ST-023 - S.U. Wisseman and W.S. WILLIMAS, Ancient Technologies and Archaeological Materials, Gordon and Breach Publishers, ISBN 2-88124-631-1.

Bib-ST-024 - L. Addicks, Silver in Industry, einhold Publishing Co. 1940.

Bib-ST-025 - C.L. Mantell, Tin its mining, production, Technology and applications, American Chemical Society, Monograph Series, New York 1949.

Bib-ST-026 - G.M. Ingo, S. Mazzoni, G. Bultrini, S. Fontana, G. Padeletti, G. Chiozzini, L. Scoppio “Small-area XPS and XAES study of the iron ore smelting process”, Surface and InterfaceAnalysis, 22 (1994) 614.

Bib-ST-027 - G.M. Ingo et al.”La pirometallurgia”, "Progetto Tharros", Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma 1997, 29.

Bib-ST-028 - Giumlia-Mair A., 2000, Argento e leghe “argentee” nell’antichità, 7° Convegno “Le Scienze della Terra e l’Archeometria”, Boll.Accademia Gioenia di Scienze Naturali 33, 357, 295-314.

Bib-ST-029 - R. F .Tylecote., 1976, A History of Metallurgy, London.

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